Polaris by H.P. Lovecraft

Polaris by H.P. Lovecraft

autore:H.P. Lovecraft [Lovecraft, H.P.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: prog
editore: Fanucci
pubblicato: 2013-11-06T23:00:00+00:00


VI, 13 - pomeriggio

Ho trovato più difficoltà di quante ne prevedessi. Sono ancora nell'edificio e dovrò lavorare in fretta e con intelligenza se voglio dormire all'asciutto, stanotte. Ho impiegato parecchio tempo ad addormentarmi, ed oggi mi sono svegliato solo verso mezzogiorno. Anzi avrei dormito anche di più, se non ci fosse stato il fulgore del Sole, attraverso la nebbia.

Il cadavere era un gran brutto spettacolo: brulicava di siffoligh ed era avvolto da un nugolo di mosche farnoth. Qualcosa aveva scostato il casco dalla faccia, ed era meglio non guardarlo. Quando ho pensato alla situazione, sono stato doppiamente contento di avere la maschera ad ossigeno.

Alla fine mi sono scrollato ed asciugato, ho inghiottito un paio di tavolette nutrienti, ed ho messo un nuovo cubetto di clorato di potassio nell'elettrolizzatore della maschera. Consumo i cubetti molto lentamente, ma vorrei averne una scorta maggiore. Dopo la dormita mi sentivo assai meglio ed immaginavo che sarei uscito presto dall'edificio.

Quando ho consultato gli appunti ed i disegni che avevo buttato giù, sono rimasto colpito dalla complessità dei corridoi, e dalla possibilità di avere commesso un errore fondamentale. C'erano sei aperture che conducevano fuori dalla camera centrale, ed io ne avevo scelta una, convinto in base a certi punti di riferimento, che fosse quella da cui ero entrato.

Quando stavo nel varco, il cadavere, a cinquanta metri di distanza, si trovava esattamente in linea retta con un lepidodendro{16} della foresta lontana. Ma adesso mi era venuto in mente che quel calcolo poteva essere inesatto: la distanza del corpo causava una trascurabile differenza nell'orientamento in relazione all'orizzonte, quando lo guardavo dalle aperture vicine a quella da cui ero entrato la prima volta. Per giunta, l'albero non era molto diverso dagli altri lepidodendri che scorgevo laggiù.

Ho provato a controllare, e purtroppo ho scoperto che non potevo stabilire con certezza quale apertura fosse quella giusta. Avevo percorso una serie di corridoi diversi, ad ogni tentativo di uscire? Questa volta l'avrei accertato.

Mi è venuto in mente che, anche se non potevo lasciare una traccia, avevo la possibilità di sistemare qualche segno. Non potevo rinunciare alla tuta ma, poiché ho i capelli molto folti, potevo fare a meno del casco. Era grosso e leggero quanto bastava per restare visibile al di sopra del fango. Me lo sono tolto e l'ho posato davanti all'ingresso di uno dei corridoi, quello più a destra dei tre che dovevo provare a seguire.

L'avrei percorso, nella speranza che fosse quello giusto, ripetendo quanto mi sembrava di ricordare circa le svolte esatte, e continuando a consultare i miei appunti ed a prendere note. Se non ce l'avessi fatta ad uscire, avrei esaurito in modo sistematico tutte le varianti possibili; e, se anche questo avesse fallito, sarei passato ad esplorare con lo stesso metodo i corridoi che si diramavano dall'apertura successiva. Poi avrei continuato anche con la forza, se fosse stato necessario. Prima o poi, non potevo fare a meno di trovare la via giusta che conduceva all'uscita. Nella peggiore delle ipotesi, comunque, ce l'avrei fatta a raggiungere la pianura in tempo per dormire all'asciutto.



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